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Méliès Reviews
Massimo Ricci, Touching Extremes, July 18, 2020

Although I have mellowed out a little bit in recent times, an inborn anti-Italian philosophy has always made me look suspiciously at nominal “avant” musicians from my country. A clever unscrupulousness typically transforms a soi-disant revolutionary in a lubricated wheel in the establishment’s engine as soon as an opportunity for sociopolitical and economic improvement materializes. Farewell to ideologies and sincerity, at that point.

Therefore a measure of relief is granted when getting in touch with characters such as Massimo Falascone, of whom I had reviewed the intriguing Variazioni Mumacs six years ago. The saxophonist and composer from Milan is apparently content to remain in his own creative ambit, surrounded by collaborators on the same wavelength. The MF Seven comprises excellent instrumentalists: clarinettist Giancarlo Nino Locatelli, guitarist Alessandra Novaga, pianist Alberto Tacchini, bassist Silvia Bolognesi, drummer Cristiano Calcagnile, percussionist Filippo Monico. They play with enthusiastic passion, focus on the scored segments and significant improvising skills, also expressing a tendency to a rather objective anarchy during their soloist exploits. They fully deserve to share the merits with the project leader.

The music, evidently inspired by French illusionist and filmmaker Georges Méliès and originally conceived for a theatrical kind of live performance, changes mood from one track to another while retaining the spirit of a suite. The written material includes themes often permeated with irony, either intelligently angular or quasi-popular. In the conceptual fragmentation that, in a way, constitutes the foundation of Falascone’s inspiration we do detect influences, more or less declared. Or, perhaps, only imagined by this writer. Contrapuntal pages comparable to Lindsay Cooper’s; reed figurations halfway through Alfred Harth and Hal Russell; the ethereal suspension of a drunk embodiment of Bill Frisell mixed with cinematic openings hinting at the recently departed Ennio Morricone (“Rubber Head”); oneirism turning into parody (“Maquillage”). And – as Neil Young would have it – there’s so much more, including a Mal Waldron cover.

Despite the admittedly vague associations necessary for the marketing strategies of a reviewer drifting in intellectual limbo, the septet translates the stuff according to a compositional perspective that allows for variable insights (and not a few surprises) as one proceeds in the listening act. Already at the end of the first spin, a wish arose to return and understand better. It doesn’t happen frequently, around here. Falascone is a prankster who plays the game very seriously, and does not exclude melancholy from the equation. By paying attention to the now lucid, now wacky dreams of Méliès, something can definitely be learned.
Flavio Caprera, Jazz Convention, June 14, 2020
*****

Massimo Falascone: sax contralto, sax baritono, crackle box, oggetti, elettronica
Giancarlo Nino Locatelli: clarinetti, oggetti
Alessandra Novaga: chitarra
Alberto Tacchini: pianoforte, sintetizzatore, elettronica
Silvia Bolognesi: contrabbasso
Cristiano Calcagnile: batteria, percussioni, glockenspiel
Filippo Monico: percussioni, percussioni, oggetti strani, bolle di sapone

Irripetibile, fantasioso, lunatico, teatrale, fascinoso ed ipnotico, questo è Melies, ultimo progetto, totale, del geniale Massimo Falascone. Ispiratosi alla creatività fantastica di Georges Melies ed ai suoi lavori cinematografici, a metà strada tra fantascienza ed illusionismo, Falascone ha messo in piedi una rappresentazione che a poco più di un secolo di distanza ci restituisce in chiave moderna la magia di quel mondo immaginato. La forma teatrale e fisica di questo disco, sorprendente, illusoria e magnetica, è stata trasferita all'ascolto. Le movenze sceniche adesso sono creazione mentale insita nella musica. Il muto del cinema rivive con note e parole, mentre le pellicole spariscono per ricomparire sotto forma di visioni alchemiche: Parafaragamus. Il treno, un tetto, le riprese, il film e il movimento sono le tematiche di Moving Train, un brano che ricorda da lontano le atmosfere stralunate e incantate del Tom Waits di Rain Dogs. Rubber Head trae ispirazione da L'Homme à la tête en caoutchouc. È una composizione di dieci minuti e mezzo che passa dal silenzio iniziale, scandito dal metallo delle percussioni, alle impennate dei fiati, ai raspi del baritono e i sussulti del clarinetto basso. Falascone lo ha pensato come un blues, strutturato - come tutte le sue composizioni - ma per nulla rigido. Il progetto Melies è curato in ogni minimo particolare e prevede e concede libertà creativa ai musicisti. La scrittura del sassofonista riesce a tenere salda l'impalcatura dell'opera garantendo alla stessa solidità nonostante l'azione arbitraria, e free, degli ottimi scalpellini che gli sono accanto. Lo si coglie soprattutto in l'Homorchestra, legato al film L'homme orchestre, un pezzo collettivo dalle forti ascendenze free suonato dall'intero ensemble; oppure nel missilistico e spaziale Lunatrip, ispirato dal cult movie Le Voyage dans la Lune. Un altro film, Le Roi de Maquillage, diventa il tema narrante di Maquillage. La composizione è costruita su un riff collettivo che durante lo svolgimento si stinge in alcuni momenti di magica impalpabilità. Left Alone di Mal Waldron - unica traccia non originale - viene introdotto dal sax alto di Falascone. Piano e batteria lo spalleggiano da lontano mentre un break in assolo di contrabbasso lo trasforma in qualcos'altro di ipnotico e incantatore, Sirene. Le Voyage a travers l'Impossible ispira il brano di chiusura intitolato, guarda caso, Non Impossibile. Una giusta conclusione per un disco in cui Falascone ha reso possibile e reale il magico ed il fantastico, narrando in piena libertà il mondo di Melies, alla stregua di un Terry Gilliam prestato al jazz. Come scriverebbe Downbeat: Five Stars!
Neri Pollastri, All About Jazz, September 19, 2019
****

Avevamo avuto occasione già due volte di vedere dal vivo e recensire il progetto Méliès del Massimo Falascone Seven, ispirato alle opere di Georges Méliès, cineasta e illusionista vissuto a cavallo tra l'Otto e il Novecento, uno dei padri del cinema e inventore degli effetti nel cinema e della cinematografia fantastico-fantascientifica. La seconda volta, in occasione di Metastasio Jazz 2019 (clicca qui per leggere la recensione), la formazione presentava questo CD, registrato al Teatro Sant'Andrea di Pisa il giorno successivo al concerto tenuto per il Fonterossa Day #4 e che ne documenta il lavoro dal vivo.
Come ben illustrato nelle recensioni dei concerti, Méliès ha una forte componente teatrale: in scena i musicisti hanno abbigliamenti singolari, utilizzano oggetti dall'effetto più visivo che sonoro (occhiali luminescenti, ma anche polverine e bolle di sapone) e -in particolare con Filippo Monico -si producono in scenette evocanti alcuni simboli del cinema di Méliès, quali l'astronauta o la luna con il missile nell'occhio. Tutto questo va ovviamente perduto nel disco, il quale per converso permette di ascoltare senza "distrazioni" la complessità e la ricchezza di una musica estremamente mutevole e includente una molteplicità di stilemi, ma anche di confrontare i brani con gli spezzoni cinematografici che li ispirano, tutti reperibili in rete.
L'album inizia con "Parafaragamus," nel quale il protagonista del cortometraggio L'alchimista Parafaragamus, del 1906, viene evocato prima attraverso un caotico mischiarsi di citazioni vocali dal gusto magico, poi da un lento intrecciarsi dei suoni. Dopo "Moving Train," che si ispira a un corto del 1896 girato dal tetto di un treno del quale la formazione riprende il ritmo alternandolo a pause che danno il senso della panoramica, la lunga "Rubber Head" omaggia L'Homme à la tête en caoutchouc, nel quale Méliès sperimenta effetti sulla pellicola per "gonfiare" una testa con un mantice: qui è da segnalare in particolare il duetto tra il sax baritono di Falascone e il clarinetto basso di Giancarlo Nino Locatelli.
Seguono poi gli omaggi a L'homme orchestre, dove Méliès si moltiplica su pellicola per dar vita a un gruppo di musicisti—ovviamente sette, come quelli dell'ensemble di Falascone... -che suonano assieme, e al film forse più noto del cineasta francese, "Le Voyage dans la Lune," del 1902: quest'ultimo è una narrazione drammaturgicamente assai coerente, organizzata attorno al lavoro di Silvia Bolognesi al contrabbasso e di Cristiano Calcagnile alla batteria, sul quale opera additivamente il pianoforte di Alberto Tacchini e che lascia liberi gli altri di costruire una tessitura dall'incedere sospeso.
Il successivo "Maquillage," ispirato a Le Roi de Maquillage, del 1904, ove si realizza in forma magica il trasformismo di cui Méliès era maestro, si basa su un motivetto ipnotico alla Steve Lacy, condotto in gruppo e incorniciato da due parentesi evocative di suoni rarefatti. Il solo brano non originale -"Left Alone" di Mal Waldron -prima viene condotto dal contralto di Falascone sullo sfondo straniante del piano e della batteria, poi grazie a uno splendido assolo del contrabbasso si trasforma in un omaggio a uno dei corti più surreali di Méliès, La Sirene. L'ultima traccia dell'album è ispirata a Le Voyage a travers l'Impossible, del 1904, e riprende l'andamento sospeso e narrativo emerso altrove e in particolare nell'altro "Voyage."
Complessivamente il lavoro mette in pratica eccellentemente l'idea di rappresentare una musica assai organizzata e largamente scritta, facendo però in modo che suoni libera e più improvvisata di quanto non sia. Ne scaturisce all'ascolto un senso di libertà e di imprevedibilità, sempre accompagnati però da una coerenza e da una tangibile -e un po' paradossale -percezione di "ordine latente"; quest'ultima peraltro affine ai lavori di Méliès, la magica surrealtà dei quali era infatti costruita a tavolino con ben congegnati effetti. Ottimo album, dunque, che -con le già segnalate differenze -rende conto degnamente dell'eccellente spettacolo dal vivo da cui scaturisce.

Track Listing: Parafaragamus; Moving Train; Rubben Head; Homorchestra; Luna Trip; Maquillage; Left Alone/Sirene; Non impossibile.

Personnel: Massimo Falascone: sax contralto e baritono, crackle box, oggetti, elettronica; Giancarlo Nino Locatelli: clarinetti, oggetti; Alessandra Novaga: chitarra; Alberto Tacchini: pianoforte, sintetizzatore, elettronica; Silvia Bolognesi: contrabbasso; Cristiano Calcagnile: batteria, percussioni, glockenspiel; Filippo Monico: percussioni, percussioni, oggetti strani, bolle di sapone.
Nazim Comunale, The New Noise, 13/08/2019
Dedicato a chi Terry Gilliam ha definito il primo grande mago del cinema, Méliès dei Massimo Falascone Seven è un’intrigante esperienza di quello che i francesi chiamerebbero cinéma pour l’oreille: otto audiometraggi liberamente ispirati ad altrettanti film muti del Maestro, in perfetto equilibrio tra scrittura e improvvisazione. Si tratta di un viaggio nella Luna, come il film del 1902, a sondare il lato nascosto del nostro satellite, tra alchimie imprendibili e incidenti dall’incedere teatrale che lasciano il segno. “Parafaragamus”, scontrosa e brillante come una pietra ruvida e preziosa, apre subito le ostilità in medias res, dopo è la volta di avvincenti roulette all’insegna di una creatività sfrenata (la sarabanda quasi sulle orme dei Rova nella parte finale di “Rubber Head”, i fantasmi del suo incipit, come ombre di figure da film antesignani della fantascienza a venire) e di carillon di un altro secolo, quando si aveva ancora il candore e lo spazio nell’anima per immaginare il mondo che sarebbe venuto. Ora che, con Mark Strand, il futuro non è più quello di una volta, fa bene tuffarsi in questo Novecento tra storia e mito e perdersi al ritmo di marcette a cui manca solo il ghigno beffardo di Daevid Allen (“Moving Train”), mentre i musicisti imbastiscono tessiture solidissime e fluttuanti, intrise di epica saturnina, metafisica, patafisica.
Il settetto vede coinvolti, oltre al leader a sassofoni, oggetti ed elettronica (per esempio il crackle box, un dispositivo che crea rumore ed è l’antenato dei marchingegni infernali creati per il circuit bending), anche Giancarlo Nino Locatelli ai clarinetti, Alessandra Novaga alla chitarra, Alberto Tacchini a piano, sintetizzatore ed elettronica, Silvia Bolognesi (protagonista dell’ultimo disco di Art Ensemble Of Chicago e anima di Fonterossa), Cristiano Calcagnile (batteria, percussioni, glockenspiel) e Filippo Monico (percussioni, bolle di sapone): l’organico tradisce già l’attitudine spericolata dell’ensemble, abilissimo nel tradurre in suono quest’idea di cinema come sogno; queste musiche, infatti, sembrano proprio appunti di attività oniriche, veglie assorte, attese, field recordings di incubi mai troppo spaventosi, richiami da un Aldilà filosofico e interiore, prima che reale. Molto incisivo il pianoforte di Tacchini (evidente in modo particolare in “Homorchestra”) che apre panorami e sfida chi ascolta, trovando sempre nuovi modi di esplorare il già esplorato; da un soliloquio raccolto fiorisce poi un dettato quasi canterburiano, impreziosito dai fiati e poi da meditazioni incoscienti sulle orme di Sun Ra (“Pensare è proprio come non pensare, perciò non devi pensare mai più”, diceva Kerouac), rincorse, fughe, fuochi d’artificio, fine.
Méliès, recita una cartella stampa intelligente, sobria e puntuale (lo sottolineo perché a volte capita di leggere, soprattutto a dire il vero in ambito non jazz, delle cose che fanno accapponare la pelle), è anche un luogo archeologico, in cui si possono trovare frammenti del pensiero musicale di chi ci ha preceduto, prediletti autori di un recente passato, le cui memorie costituiscono la base su cui si fonda questa musica. Una musica forse non più – o non solo – d’avanguardia, che vuole consolidarsi in una moderna tradizione e resistere così alle scosse del tempo.
Le voglie di spazio, ovviamente, di “Luna Trip”, con i synth tra Richard Teitelbaum e David Durrah. Musica (non elettronica) viva, devota a una lunga storia di cosmonauti del pentagramma ma non per questo didascalica, anzi forte di una scrittura calibrata e di una bella attitudine selvatica ed ironica; una fitta, impenetrabile coltre di mistero avvolge queste otto composizioni, come un trucco cruciale e lievissimo che nasconde la vera faccia della realtà (“Maquillage”, prima psichedelica poi bandistica, poi mille altre cose), che infine, dopo lunghi corteggiamenti, appostamenti e malintesi, mostra il volto classico che di lei ricordiamo anche senza averlo mai saputo (“Left Alone/Sirene”, che da un inizio carico di soul, memore degli inni grondanti blackness di Rahsaan Roland Kirk, si inerpica poi su cime erte dove l’aria si fa sempre più rarefatta, oppure si inabissa in vortici di acqua scura, fino a sparire, che sia a un dito dalle nuvole, o nel mare che promette scomparsa e deriva).
Chiudono gli otto minuti di “Non Impossibile”, sulle orme di Alfred Jarry: “L’indisciplina cieca e di ogni attimo è la forza principale degli uomini liberi”. A questo punto attendiamo già il prossimo atto, per partire di nuovo in viaggio. Sebbene Méliés stesso fosse convinto che il lieto fine esistesse solamente nei film, in questo caso il disco smentisce l’artista a cui si è ispirato: dopo scaramucce, tempeste e marosi il cielo si rischiara e sorge un tema come una nenia da mandare a memoria, come una canzone che risvegli il bambino eterno che vive in noi, l’essere che è infinite possibilità e che tutto, quando cresciamo, cospira a reprimere; lieto e degno finale di un disco densissimo eppure abitato da una leggerezza calviniana, ennesima testimonianza della vitalità della musica creativa italiana non allineata.
Gennaro Fucile, Musica Jazz, luglio 2019
Diciamolo subito: se si parte nel segno di Georges Méliès, ci si aspetta che si voli alto, come minimo nell’orbita della Luna. Per farlo servono coraggio e creatività; materie prime – qui la franchezza è d’obbligo – che scarseggiano nel panorama italiano e non solo, e soprattutto in ambito jazzistico o giù di lì. Appare quindi gagliardo e sfrontato, Falascone, nell’aver messo in musica suggestioni che arrivano anche da altrove, dal mondo del leggendario francese inventore di magie. Lanciato il guanto di sfida, l’esito è stato vittorioso. Forte anche di nobili riferimenti musicali e di una non trascurabile abilità strumentale, il sassofonista ha dato vita a questo progetto che è anche uno spettacolo, o meglio un happening sulla scena, e non solo sonoro. I brani, va precisato, non sono musiche per i film di Méliès e suggerire accostamenti con qualche pellicola tra quelle che ci sono pervenute non coglie del tutto il senso dell’operazione, che consiste semplicemente nel conferire a queste musiche quel sense of wonder che gli scrittori di sci-fi conoscono a menadito. Altro non è, per esempio, l’oscura (l’altra faccia della Luna di Méliès?) Luna Trip, farcita di rimandi progressive, a dire il vero disseminati un po’ dappertutto, richiamando alla mente soprattutto i riff dei Van der Graaf Generator (specie in Moving Train). Accade anche il contrario, cosicché mentre tutto lascia pensare a uno sviluppo in chiave prog, ecco rispuntare il free rimescolando le carte, perché i magnifici sette in azione, tanto per restare al cinema, amano dichiaratamente smarcarsi dalle situazioni appena create. Esemplare la conclusione di Non impossibile, come anche l’inserimento di Left Alone di Mal Waldron in scaletta, epifania di una ballad che poi declina nell’astrazione di Sirene.
Si resta fedeli solo all’imprevedibilità, guida affidabile per andare avanti. Dove? Verso la luna, ovviamente.
Ettore Garzia, Percorsi Musicali - May 6, 2019
Méliès nell'impostazione musicale del Massimo Falascone Seven

Non sembra essere cambiato molto il mondo, nel tempo: quando si cominciò a parlare di cinematografia a fine ottocento, i registi-pionieri della nuova arte (i f.lli Lumiére e George Méliès) catalizzavano le categorie dei "realisti" o dei "sognatori", una distinzione che, semplificando molto l'analisi, sembra potersi replicare ancora oggi.
Se George Méliès non perde un centimetro del suo fascino, il motivo è che egli è un contenitore di storia, arte e di potenziali intuiti dell'imprevedibile disponibili per la creazione: nell'era dei cortometraggi di pochi minuti, Méliès si rendeva conto di avere una miniera nelle mani, da poter mettere a disposizione di un pubblico che certe cose le aveva potuto solo immaginare grazie ai dipinti; la suggestione del regista francese era ampia, poiché ricomponeva fasi letterarie, aspetti scabrosi o illusionistici della vita o della scienza, la gestione di una scenografia teatrale con ballerini e comparse, e soprattutto una pletora di mezzi speciali utili per una rappresentazione fuori dai canoni.
Da Méliès prende coscienza anche l'ispirazione del sassofonista Massimo Falascone. La suggestione di Falascone non è tesa però alla creazione di un riempitivo musicale, una potenziale soundtrack dei films del francese, ma è tutta incorporata nel pensiero e nell'arte del regista: tra i molti collettivi che Falascone ha unito nel passato, questo dei Seven dedicati a Méliès è uno dei più centrati della sua intera carriera, perché le fonti musicali a sostegno si perdono in un ricordo solo evanescente, dando giovamento ad un concetto di improvvisazione totalizzante. Chi conosce Massimo, sa quanto sia vicino stilisticamente a Coleman e Sun Ra, a Cherry o al prog inglese, ma sa anche quanto importante sia l'improvvisazione tout court nello sviluppo di qualsiasi progetto musicale: in Méliès (spettacolo e cd per Auditorium R., con Giancarlo Locatelli, Alessandra Novaga, Alberto Tacchini, Silvia Bolognesi, Cristiano Calcagnile e Filippo Monico), viene concepito un take back incredibile, che quasi spaventa per il modo con cui viene presentato lo spirito utopico del regista francese. Gli artisti si presentano in scena con stranezze nel look o nell'abbigliamento (Massimo indossa occhiali di un pilota da caccia ed un camice bianco, la Bolognesi entra in sintonia con un costume da scheletro, la Novaga con un cappello a cilindro dell'epoca, etc.), si intendono solo su qualche parte scritta (e l'improvvisazione non è per nulla pensata per intenti radicali o perfettamente non idiomatici), usano estensioni ed oggetti (Falascone ha un tavolino da inventore, Monico usa oggetti strani e bolle di sapone), e girano a mò di vortice incosciente su una musica che coglie le qualità cinematografiche realizzate da Méliès (ciò che si ripresenta auralmente è il senso della movimentazione, la dissolvenza, la magia e il tono avventuroso).
Provate a mettere assieme i cortometraggi di Méliès di fianco ai corrispondenti pezzi dei Seven: vi troverete ad una nuova metamorfosi. L'alchimista Parafaragamus vi fa fare un tuffo nel periodo dell'Art Nouveau, ma di art nouveau si potrebbe parlare anche per l'ensemble di Falascone; lo sferragliare dell'introduzione di Moving Train è perfetto per sonorizzare il corrispondente Panorama from top a moving train (dove i 6 minuti circa in più si muovono in una stanza musicale con echi di Varese, segnali concreti e un refrain perfetto); le microtonalità della chitarra di Novaga anticipano in Rubber Head l'illusionismo dell'uomo dalla testa di gomma (musica misteriosa ma anche velatamente dadaista); il jazz e un linguaggio dialogico si affaccia nei sette minuti di Homorchestra, mentre un clima space viene instradato in Luna Trip, circa 9 minuti da affiancare al capolavoro di Méliès, A trip to the moon, dove poi l'esperienza lunare viene largamente condivisa lavorando su valenze sonore ambigue, con uno step di tipo progressivo, che fa pensare non solo alla faccia della luna del francese ma anche a quella di Gabriel nella cover del primo Genesis o a quelle degli gnomi delle navicelle a tazza dei Gong; in Maquillage, il re del trasformismo si rivela tra il jazz scomposto di un Coleman, una piroetta prog e dei droni cosmici; la ripresa di Left Alone di Waldron, unita alle Sirene, asseconda un'illustrazione jazz e un'improvvisazione di grande spessore (con un Locatelli che si inventa un magnifico canale di trasmissione sonora), da abbinare alle invenzioni trasformiste del domatore di pesci; l'intro percussivo di Calcagnile reggerebbe ad arte l'introduzione dei viaggiatori nervosi di Méliès durante il Voyage attravers l'impossible (che i Seven traducono con certezza nel suo opposto, Non Impossibile).
In Méliès i risultati sono andati oltre le più rosee previsioni: c'è da fare un plauso a tutti i partecipanti (per gli assoli, la compenetrazione e i livelli raggiunti dalla musica), ma anche capire se esistono altre vie di sviluppo di questa brillante idea: ad esempio, pensando al cortometraggio dell'Uomo Orchestra, si potrebbe tentare di emulare in qualche modo lo schema degli strumenti (in quel corto gli sdoppiamenti prevedevano anche trombe e violino), e senz'altro si potrebbe creare anche una videoproiezione che riproduca le corrispondenze su cui ragionavo prima (cercando, naturalmente, approfondimenti e ammodernamenti anche in quel campo).
Méliès è un'operazione culturale, di quelle che certamente hanno dei ganci nella storia, ma che è anche espressione di una propria impostazione, un'operazione che mutua principi anche della Tai-No Orchestra. Di questi tempi, è come trovare aghi nel pagliaio.
Marco Carcasi, Kathodik - April 23, 2019
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Qualcosa che meraviglia “Méliès”, otto brani, che traggono ispirazione dal cinema muto del regista/pioniere francese, che il sassofonista/sperimentatore milanese Massimo Falascone, in compagnia di un esperto, inventivo, solido e rodato sestetto (Giancarlo Nino Locatelli a clarinetto e oggetti, Alessandra Novaga, chitarra, Alberto Tacchini, piano/synth/elettronica, Silvia Bolognesi, contrabbasso, Cristiano Calcagnile, batteria/percussioni/glockenspiel, Filippo Monico, percussioni/strani oggetti e bolle di sapone, oltre a Falascone al sax/crackle box/oggetti/elettronica), ha portato e porta in giro all'occasione dal vivo, in uno spettacolo che non è, sonorizzazione di film muto, ma, materia viva, che trae ispirazione e guarda oltre.
Masticando, sbuffando, fra risa e stralci di sogno con la fantasia lanciata al galop sgalop.
Che ovvio, per una corale del genere imbattersi in rimandi che spazian dall'Art Ensemble a Sun Ra, passando per forme simil elettroacustiche, fra il dronante e il parassitario, che trasportan lo ieri all'oggi in direzione/tentativo di altre panoramiche futuribili, complesse d'insieme, ma rese con grazia epidermica, sciolta e divertita, fra esposizione di radici e forme più moderne e aerodinamiche.
In breve ma proprio breve: lode, lode, lode.
"Uno strepitoso settetto guidato da Massimo Falascone, con Silvia Bolognesi, Cristiano Calcagnile, Alessandra Novaga, Filippo Monico, Alberto Tacchini e Giancarlo Nino Locatelli, esegue le musiche composte da Massimo Falascone e ispirate al cinema di George Méliès. Un caleidoscopio di sonorità tra jazz, improvvisazione e teatralità."
(Claudio Chianura)


"Nel cinema muto la musica funzionava come collante e amplificazione emotiva delle immagini. E non di rado, anche a MetJazz, si sono visti spettacoli di cinema muto e jazz. Il sassofonista e compositore Massimo Falascone con il suo progetto Méliès fa invece il contrario: propone un concerto senza le immagini, ma inventa tutto un armamentario musicale e scenico che le evoca, in un dialogo con lo spettatore per far nascere nella sua testa un nuovo universo di immagini. In fondo l’illusionismo era proprio il campo creativo di Georges Méliès, un mago che si è dedicato al cinema, fondandone il filone fantastico e fantascientifico. Non stupisce quindi che nella musica originale del settetto di Falascone ci siano omaggi a Daevid Allen dei Gong, a Ornette Coleman e, inevitabilmente, a Sun Ra: nel segno della metamorfosi, del gioco, dell’apparire e scomparire di idee, temi, segni sonori e grafici, uditivi e visivi. In tutto sono otto brani, ciascuno ispirato a un diverso cortometraggio del padre del fantastico. Il teatro e l’improvvisazione sono parte integrante della tradizione jazz, da King Oliver che mimava con la cornetta il pianto di un bambino nero e rompiscatole alla galassia di oggetti spiazzanti dell’Art Ensemble of Chicago. In più Falascone ci aggiunge un gusto tutto suo dell’ironia stralunata e surreale, della passione autentica per il cinema, della grande esperienza nell’improvvisazione collettiva su diversi piani stilistici.
Per questo Méliès rappresenta una diversa esperienza del 'raccontare storie' così connaturata al jazz."
(Stefano Zenni, per MetJazz 2019)