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Works 05-007-2008 - Reviews

Hey, it looks like my wish was granted – in the last issue's review of the monumental Die Schachtel Musica Improvvisa box, I wrote that I'd love to hear more from Wintermute's Massimo Falascone, and, would you know it, two CDs turned up a few days later: one a trio outing with Alberto Braida and Filippo Monico, the other this collection of solo (more or less) works. It was apparently released back in 2008, but I'm making no apologies for reviewing it now, as it's a splendid showcase of Falascone's talents as a saxophonist (on alto and baritone), electronician (dude plays a mean sampler) and composer.
The opening "Ottovolante" is a long distance collaboration with San Francisco's Bob Marsh, the Italian arranging a whole lotta sounds Marsh sent his way, including cuckoo clocks, car horns and fragments of speech and field recordings, into a glorious action painting backdrop to his own sax playing. "Che Senso Ha" features "abstract appearances of baritone saxophone" but is mainly another dense collage of radio broadcasts. I may be mistaken, but thought I caught something about Nicolae Ceauşescu and definitely heard someone saying "it doesn't make sense" – though it does, in its own crazy way. "Orpheus" and "Lavamipasta", in which the saxes do battle with a Dixieland band, a whistling kettle and what sounds like a very large knife cutting up vegetables, were conceived as part of a multimedia installation in Crema's Teatro San Domenico. Sounds like fun, wish I could have been there.
On "Discovery" Falascone teams up with Matteo Pennese on Max/MSP (a bit heavy on the delay I reckon, but never mind), while on the other pieces he handles the electronic transformations himself on iPod and loop sampler. "Disarmonica 1" morphs his alto into shapes Adolphe never dreamed of, and "Disarmonica 2" multitracks his baritone, starting out as a stately drone and ending up sounding like a herd of walruses attacking a penguin colony. But just in case you have any doubts about Falascone's abilities as a saxophonist, the closing all too brief cover of "Ericka", from Roscoe Mitchell's Nonaah, will dispel them wonderfully. Great work all round.–DW
Dan Warburton, Paris Transatlantic - Dec. 2010


“Works...” del milanese Massimo Falascone, è stato senza dubbio, una delle più gradite sorprese dell'appena trascorso 2008. Improvvisatore, performer, compositore digitale, Falascone, è a tutti gli effetti, da considerarsi un veterano della scena impro italiana. Attivo sin dai primi ottanta, ha suonato ed inciso con: Gruppo Contemporaneo, Takla Makan, Circadiana, Mondo Ra, Blast Unit Orchestra, M.M.&T., CrowdofOne, E. Ricci, W. Fuchs, P. Kowald, F. Spera, A. Braida, P. Friis Nielsen, G. Locatelli, Ab Baars, W. Prati, E. Sharp, G. Schiaffini, S. Piccolo, Gak Sato, M. Pennese, C. Calcagnile, X. Iriondo, R. Ciunfrini, S. Giust, B. Marsh e molti altri ancora. “Works...”, sorta di catalogo ragionato elettroacustico, sghembo/sgambettante, è bello assai, fra collaborazioni ed attimi di raccolto isolamento, composizione, improvvisazione, colonna sonora e graffio digitale. Un gran bel sentire, questo scarno refolo suadente. Sassofonista e manipolatore surrealista, Falascone miscela umori elettronici sottilmente irregolari (nel catalogo Ralph Records starebbe benissimo...), con chiaroscurali zone acustiche, fatte di umori/ricordi, impro/jazz neri come pece. L'epoca dell'oro (Coleman, Sun Ra, Mingus...), le astrazioni (Feldman e Satie, in varia grammatura spirituale...), la carica corrosiva dei Monty Python e di Peter Sellers ad erodere il quotidiano. L'elettronica che spazializza e deforma cubica la materia. Questo c'è. Ed allora, fra una collaborazione a distanza con Bob Marsh (Ottovolante, ispiratissima digressione acustico/digitale), ad una con Matteo Pennese (Discovery, distillato inebriante noir/avant/jazz), passando per Che Senso Ha, e le sue apparizioni astratte di sax baritono, in flirt con un'elettronica alla Musci e Venosta (chi li ricorda?....), non tralasciando la ricetta della Pasta alla Norma, si dipana, un curioso percorso espressivo, fatto di libere uscite free ascensionali e lievi nevrosi metropolitane. Ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo, in compagnia di B. Marsh, R. Ciunfrini, F. Spera e G. Lella. Le sue parti, un frenetico movimento di mani, occhi e labbra, soffiar di sax e tubaglie assortite, uno schiacciar continuo pedali, un'azione performativa vera e propria. La freddezza e l'eccesso/rigurgito concettuale, aggirati e sorpassati, le periferiche digitali azionate in tempo reale, ad irrobustir la carne del corpo. Una bellezza, sensualmente cruda e sudata, dimentica della fase riposo. Questa coesa esposizioe di reperti sparsi, merita ripetuti ed ammirati ascolti. Fra il meglio del meglio nel 2008. Godibilissimo/ispiratissimo artigianato elettroacustico.
Marco Carcasi, Kathodik 2009.


Una manciata di lavori che Falascone raccoglie dall'ultimo triennio produttivo, assemblando progetti di natura molto differente, nati da relazioni non univoche: da qui il "works" del titolo. Si parte infatti da una collaborazione a distanza (internet ovviamente) con il manipolatore Bob Marsh, ad un'altra sempre improntata all'iterazione con l'elettronica ma costruita in tempo reale con M. Pennese. A seguire altre situazioni in solo con loop, sampler, live electronics che danno uno spaccato significativo dell'attività di un musicista curioso che evita con stile gli stereotipi di molti colleghi. (7).
Michele Coralli, Blow Up n.126 - Novembre 2008.


Questo cd di Falascone mi è arrivato proprio insieme ad un vagonata di materiali della Creative Sources, ed è brutto dover fare classifiche e paragoni, ma visto che tanto si fanno ugualmente partirò dicendo che nei primi tre pezzi ha "spezzato le reni al Portogallo ed ha piegato le barbare genti all’italico verbo" come fecero Barbagli e Pregadio con i terribili Mimimmi. Il disco è stato una sorpresa notevole e a questo punto mi domando perché Falascone non si è fatto vivo prima: jazz, avant jazz o quanto meno jazz che pur facendosi localizzare in quel contesto si sposta ben oltre i confini in cui lo si vuole arginare, infatti Falascone fa largo uso di elettronica, effetti e pur mantenendo uno splendido gusto melodico "notturno", non sembra deciso a rimanere nei ranghi. Il cd raccoglie diverse collaborazioni e composizioni (alla faccia dell’impro buttata "a cazzo") che montate assieme all’interno della scaletta di un disco ne fanno un gioiellino multicolore che non soffre per nulla di crisi d’identità. Se l’apertura vede nelle prime due tracce dei sax che in modo diverso giocano con l’elettronica a suon di delay e campionatore, nel terzo episodio i campioni rientrano a pieno volume. Le melodie di Falascone per quanto cupe e visionarie tuttavia a differenza di molto avant jazz (soprattutto quello di stampo nordico) sono ancora dotate di un calore che per quel che mi riguarda non è una cosa da poco poiché significa che oltre al frigidume cerebrale c’è polpa attorno all’osso. Gran gusto nelle proporzioni e nulla buttato tanto per cercare di svecchiare musica altrimenti "passata", alla fine la qualità migliore di questo lavoro è il fatto di saper coniugare spessore e calore senza fare la benché minima fatica. Disconosco fin da subito quanto sto per scrivere, ma penso possa aiutarvi ad inquadrare per bene il disco: se l’ECM negli ultimi anni non si fosse più volte arenata come il cadavere putrescente di quella che fu una gran balena, si sarebbe nutrita maggiorente di plancton di questo tipo. Un lavoro ben registrato e curato magnificamente senza dispendio di mezzi dato che in alcune tracce come in Disarmonica 2 riesce a fare virtù di una semplice loop station, ma il gusto è ciò che fa la differenza. Dulcis in fundo ci si può concedere persino il tempo di una cover di Roscoe Mitchell (Ericka), una specie di outro per pacificare gli animi, ma si tratta comunque di Mitchell (Art Ensemble Of Chicago) quindi "pacificati" ma non troppo, ancora "violent pacification" a costo di ripetersi.
Andrea Ferraris, Sodapop 2009.


Con colpevole ritardo torniamo su un interessante lavoro che sarebbe stato un peccato lasciar giacere nel dimenticatoio. Un disco di grande spessore e maturità, quello imbastito da Massimo Falascone, sassofonista e sound artist di stanza a Milano. In Works 05-007-2008 l’artista italiano colleziona lavori sparsi – lavori in proprio, collaborazioni a distanza geograficamente e temporalmente, musiche per piece teatrali, ecc. – tanto eterogenei che il titolo dell’album avrebbe potuto tranquillamente fregiarsi del prefisso patch…. A far da contraltare, oltre che da collante, a tanta frammentazione c’è però l’omogeneità della cura dei suoni e della ricerca di Falascone, che unita all’ottima qualità media degli 8 pezzi, rende questo collected works un disco immancabile per chi si occupi del versante più impro del jazz. Perché Falascone unisce elementi apparentemente distanti – il caldo del suo strumento e il freddo dei loop – con convinzione e gioia, senza seriose verbosità ma piuttosto con una grossa carica auto-ironica.
Per tutti valgano i 7 minuti dell’iniziale Ottovolante. Vero e proprio bignami del modus operandi di Falascone e del suo intendere il lavoro di ricerca sui suoni e sulle possibilità delle interazioni con fonti e personalità altre, Ottovolante rielabora una composizione di 8 minuti dell’americano Bob Marsh tramite cut-up invasivo, aggiunte di plug-ins, bassi e immancabili contrappunti di sax. Ottimo (7.0/10)
Stefano Pifferi, SentireAscoltare n. 52 - Febbraio 2009


In questi otto pregevoli lavori, Falascone situa la musica in una zona in cui le pure e decise voci dei suoi sassofoni possono incontrarsi con una varietà di suoni — ready made (lasciati da un alone che tradisce un contesto di provenienza alieno) oppure, la maggior parte, prodotti di sintesi — che tuttavia non assumono mai il ruolo di assedianti. Non ci sono che rare collisioni, smorzate peraltro con sapienza: urti leggeri in cui l'identità di ciascun suono — ed è spesso un'identità ricca, soprattutto semanticamente — rimane intatta anche nelle occasioni piu affollale e vorticose. Un carattere che nella musica, brano dopo brano, si rivela è l'assenza di ombra; si addensa e si dirada in una luce sempre chiarissima seguendo una logica di progressiva spoliazione fino a Ericka, una composizione di Roscoe Mitchell che Falascone staglia nel silenzio e in cui il suo contralto entra con forza e passione tendendone all’estremo i confini. C'è stato un lungo cammino dal modus operandi del primo lavoro. Ottovalante è infatti il risullato di una metastasi falasconiana in un variopinto gruppo di campionamenti messi in rete da Marsh, artista di San Francisco, nel quadro di un progetto collettivo intercontinentale.
Dalla Bona, Musica Jazz - Gennaio 2009.


[...] Massimo Falascone è un veterano della scena impro italiana, un punto di riferimento per chi si muove su questo terreno. Il suo nome è legato a doppio filo a "Takla Makan," sorta di laboratorio metalinguistico dell'area milanese, insieme al sodale Filippo Monico, ma si associa spesso anche ai grandi del jazz europeo: Wolfgang Fuchs, Peter Kowald, Giancarlo Locatelli, Ab Baars, Walter Prati, Giancarlo Schiaffini... La produzione come solista è abbastanza scarna (8 dischi in quasi trent'anni di carriera), segno che ogni lavoro è pensato, meditato. Works prosegue nella sua linea intrapresa da anni, costruire qualcosa sul rapporto dialettico tra musica e varie espressioni dell'arte, siano esse la parola, il colore, la materia da plasmare, l'immagine, i rumori del mondo esterno... in sostanza, la vita. Works è una sorta di catalogo ragionato elettroacustico, un corpo a corpo tra l'uomo e la macchina, tra l'umano e l'artificiale. Tra il respiro e il loop di un computer. Ogni strumento (dal sax al campionatore) ha una parte precisa e il risultato è rappresentato da 8 composizioni scientificamente fredde, al limite della glaciazione, dove l'elemento umano sembra quasi scomparire del tutto. La voce del Nostro fatica e emergere - ma quando lo fa è una liberazione: si ascolti l'ultima traccia - da questa sorta di patchwork, cui riferimenti sono tanti: dal Free di Ornette e di Roscoe Mitchell alle astrazioni di un Morton Feldman, passando il progressive rock del Re Cremisi e la carica umoristica della voce di Peter Sellers. Un disco di difficile fruizione, astratto e viscerale, tortuoso e lineare, violento e delicato, che può essere letto come metafora del nostro tempo.
Pierpaolo Faggiano, All About Jazz 2009.